16 febbraio 2023

#SanremoStories: un tris d’autore per Davide Simonetta

Davide Simonetta è nella top ten degli autori del Festival di Sanremo. In questa intervista ci racconta il suo mondo fatto di musica e di canzoni.
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Quando e come ti avvicini alla musica?

Da quando sono nato, praticamente. Non ho avuto altri giochi al di fuori degli strumenti: non ho mai avuto un motorino, perché ho preferito avere una chitarra, da adolescente ho fatto pochissimi viaggi perché preferivo suonare. Mi sono sempre dedicato alla musica, e spesso penso -  e dico - che questa mia passione sia anche un po’ una sorta di maledizione e di condanna, in termini di rinunce che ho fatto. La musica è stata da subito una compagna di giochi, ma anche la mia prima forma di espressione: parlavo poco, e mi esprimevo in versi, cantando, e ancora oggi a distanza di quaranta anni è il mio modo di comunicare.

Ti ricordi la prima canzone che hai scritto per un’altra persona?

Era un brano che Marco Carta ha portato ad Amici. Ricordo che ero molto geloso delle mie canzoni, perché dopo averle scritte volevo anche cantarle. La cosa divertente è che poi io ero una sorta di cantante-timido: non volevo apparire e mi agitavo ai concerti. È stato Stefano Clessi ad aprirmi la strada verso la scrittura per altri: non conoscevo la figura dell’autore fino a quel momento.

Come è avvenuto il passaggio da cantante ad autore? Due carriere che partono parallele, ma poi scegli la seconda…

Per i colpi della vita. Quando avevo sedici anni suonavo in molti gruppi: prima avevo una band super rock con la quale giravo l’Italia in furgone, poi mi sono avvicinato al pop per il desiderio costante di sentire le persone cantare le mie canzoni. Il passaggio da cantante ad autore è stato graduale ed è avvenuto anche grazie a un’analisi che ho fatto su me stesso e sulla professione dell’autore, che sicuramente conserva di più l’essenza della musica. È una sorta di magia che si compie in ogni studio di registrazione quando nascono le canzoni, ed è questa l’anima della creatività che voglio preservare. Gli applausi del pubblico arrivano in un secondo momento, perché mi interessa di più il “lato primitivo” della musica, quello della scrittura e della composizione: io sono una persona che fa di tutto per non apparire, non mi lamento se non vengo citato. Voglio bene a tutte le mie canzoni indistintamente, è un legame viscerale. Però dico pure che poi la canzone appartiene a chi la canta, è dell’artista. A me va benissimo così.

Professione autore. Scrivere per sé e scrivere per altri: cosa cambia?

Tutte le canzoni che scrivo con il mio team – da Paolo Antonacci a Bdope, a Davide Petrella, che ritroviamo anche in Due Vite di Marco Mengoni – escono sempre da tutto quello che abbiamo vissuto. Sono canzoni che parlano delle nostre vite, e che partono da quello che ci raccontiamo in studio. Non c’è quindi molta differenza nella scrittura di canzoni per sé o per altri: siamo dei cantautori dietro le quinte.

La prima esperienza sanremese come autore è per la canzone dei Dear Jack, Il mondo esplode tranne noi del 2015…

Nel 2015 arrivavo dal mio primo successo discografico sempre con i Dear Jack per il brano Domani è un altro film, che avevo scritto con il mio amico Piero Romitelli. Pensate che non ci eravamo mai incontrati prima, tutto il brano lo avevamo scritto via Skype! Così, scriviamo insieme anche “Il mondo esplode tranne noi” e praticamente ci siamo conosciuti di persona a Sanremo. È stata un’emozione incredibile. 

Come è nata Due Vite?

Innanzitutto, penso che Marco Mengoni sia un performer pazzesco. Ha avuto una grande maturità professionale, tanto che sembrava un artista internazionale, su quel palco. Due Vite è nata sempre qui, in studio, insieme con Davide Petrella: abbiamo scritto l’ossatura del pezzo, e poi ci siamo fatti una full immersion con Marco Mengoni per perfezionarlo sempre di più. Abbiamo lavorato insieme anche con Giovanni Pallotti, altro produttore del brano e direttore poi dell’orchestra. Sono stati giorni bellissimi.

Cosa rappresenta per te, da autore, il Festival di Sanremo?

Sanremo ha un peso enorme. Mi viene subito in mente la mia famiglia: il Festival era un momento di condivisione con i miei genitori, con i miei nonni, con mio fratello. Da autore, Sanremo mi restituisce emozioni imparagonabili a qualsiasi hit estiva o disco di platino: quel palco è il Palco. Durante il Festival si diventa scaramantici all’ennesima potenza, fai sempre le stesse cose allo stesso orario, cerchi di controllare la vertigine in tutti i modi. Per non parlare di quando ascolti la canzone suonata dall’orchestra e inizia così il suo viaggio tra le persone…

Due Vite vince inoltre il Premio Bigazzi alla migliore composizione, che porta anche la tua firma…

Giancarlo Bigazzi è il mio idolo! Sono davvero molto contento del premio. Per il mio carattere sono poco incline a mettere in mostra i riconoscimenti, però è una grande soddisfazione per me sapere che l’orchestra abbia votato Due Vite, che sia rimasta colpita dall’aspetto compositivo del brano, dal mio pianoforte, così malinconico.

Un tris d’autore: per questa edizione di Sanremo eri in gara anche con il brano Tango di Tananai (quarto posto) e Made in Italy di Rosa Chemical (ottavo posto). Che effetto fa essere nella top ten degli autori? 

Il mio obiettivo è sempre quello di entrare nel cuore delle persone. Sono tre canzoni diverse, nate in maniera diversa, tratte da tante storie vere. Sono affezionato a tutte e tre e sono soddisfatto di essere nella top ten degli autori: pensate che con Rosa Chemical era la prima volta che lavoravamo insieme, ed è stata buona la prima! Un colpo di fulmine!

Ci sono stati altri brani che ti sono piaciuti?

Sì. Mi sono piaciuti molto i brani Splash di Colapesce Dimartino, Cenere di Lazza e L’addio di Coma_Cose. Dei giovani, mi è piaciuto molto Mostro di gIANMARIA.

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