11 aprile 2023

Mare Fuori: Incontriamo gli sceneggiatori Maurizio Careddu e Cristiana Farina

Maurizio Careddu e Cristiana Farina raccontano la scrittura della serie del momento… e non solo.
Maurizio Careddu e Cristiana Farina

Maurizio Careddu e Cristiana Farina

Mare Fuori è senza dubbio la serie del momento, ma l’idea è nata tanti anni fa. Circa venti anni fa. Cristiana Farina, creatrice della fortunatissima serie, lavorava a Un posto al sole, quando un giorno in visita al carcere minorile di Nisida, rimane colpita dalle storie di quei ragazzi. Inizia così a germogliare l’urgenza di trasformare in immagini i racconti di tanti adolescenti spesso lasciati nelle loro difficoltà. Poi lo stop. Solo nel 2016, insieme con lo sceneggiatore Maurizio Careddu presentano un primo concept in RAI: il progetto ha il titolo di Nessuno Escluso, ma negli anni diventerà Mare Fuori. Seguirà tanto lavoro di ricerca e di scrittura, al quale si aggiunge anche il contributo di Carmine Elia, il regista della prima stagione, e da quel momento è stato un crescendo di emozioni che ci ha colmato il cuore in ogni puntata. Abbiamo avuto il piacere di fare qualche domanda a Cristiana Farina e Maurizio Careddu, ecco cosa ci hanno raccontato sulla serie e non solo.

Dalla prima bozza di Mare Fuori alle prime riprese sono passati diversi anni. Siamo davanti a un processo creativo in continuo cambiamento?

Sicuramente è stato un grandissimo flusso di coscienza e di creatività. Va detto però che in Italia i tempi di scrittura sono dilatati per la mancanza di una cultura seriale, in termini produttivi. Cosa vuol dire: qui si usa ancora il modello cinematografico, che organizza il lavoro di ripresa accorpando tutte le scene ambientate nello stesso luogo, senza cioè seguire lo sviluppo temporale della narrazione. Capita quindi di girare momenti che vanno dalla prima all’ultima puntata solo perché siamo in quella determinata location: per l’attore ciò comporta un grandissimo sforzo in termini di prontezza nel cambio di intenzione, per noi autori invece una difficoltà nel poter adattare, o migliorare velocemente l’impianto di una scena. Girato e scrittura non vanno di pari passo e di conseguenza si perde la visione generale sullo scorrimento della storia. È principalmente una questione di budget. In America, dove la serializzazione industriale è molto forte, dal primo pitch alla messa in onda passano sei mesi, ma nel frattempo si continua a scrivere: durante le riprese del primo episodio si scrive il quinto e così sì può solo migliorare la narrazione e ottimizzare i tempi di realizzazione di un’opera.

Una sceneggiatura e due autori: che tipo di alchimia viene a generarsi nel processo creativo?

Per questo progetto ci ha uniti - professionalmente parlando - Michele Zatta capostruttura RAI.  Il comun denominatore è stato un grandissimo lavoro di interviste e di ricerche per assicurare l’autenticità delle storie. Un approfondimento che ci ha avvicinati tantissimo e che è il motore creativo della serie: continuiamo ad andare a Napoli per parlare coi ragazzi ed avere sempre nuove ispirazioni. A livello pratico ci lega lo stesso background e lo stesso approccio allo studio, ma per Mare Fuori ci ha unito anche un interesse personale, una curiosità, nel raccontare proprio quelle storie. Ovviamente c’è anche una componente caratteriale in gioco: siamo molto simili e ci alterniamo nei nostri momenti migliori e peggiori, riconoscendo i pregi e i difetti dell’uno e dell’altro e aiutandoci a vicenda. Infine abbiamo anche un grande insegnamento che ci portiamo dietro dalla nostra esperienza in Un posto al sole, ed è quello di non accontentarsi mai della prima soluzione: un’etica del lavoro che si trasforma in onestà intellettuale e ci spinge a ricercare sempre il miglioramento in quello che facciamo.

Ci raccontate il momento migliore e quello peggiore in fase di scrittura?

Il momento migliore è quando parliamo coi ragazzi, perché per noi è davvero un arricchimento a 360 gradi. Oppure quando senti che il motore si è acceso e non vedi l’ora di iniziare a raccontare quella storia. Il momento peggiore? Forse quando arrivano le note, oppure quando dobbiamo ripensare velocemente a una scena perché c’è stato qualche problema di produzione; comunque anche i momenti di difficoltà sono molto stimolanti per la creatività. Sono delle opportunità.

In Mare Fuori è centrale è il tema della legalità: come fare a veicolare messaggi importanti senza creare momenti o espedienti sloganistici? C’è una responsabilità di chi scrive verso il pubblico?

Il rischio di essere retorici è davvero dietro l’angolo. Nello specifico, nel caso di Mare Fuori, si tratta di tematiche che poggiano su grandi verità per la quali è necessario trovare un compromesso tra autenticità attoriale e credibilità dei messaggi, un’unione cioè che non snaturi le storie vere sulle quali la serie è incentrata. Il cast scelto è stato fondamentale per questo scopo: buone battute interpretate da bravi attori! Durante la fase di scrittura l’uno leggeva le idee dell’altro proprio per evitare di cadere noi stessi in momenti sloganistici, ma il lavoro è stato completato dagli attori: quando un attore sente la verità di quello che sta dicendo e riesce a trasmetterla la retorica passa sempre in secondo piano. La responsabilità verso il pubblico c’è sempre e con il successo della serie la sentiamo ancora di più.

Amore, amicizia ma soprattutto famiglia. C’è una storia che vi ha coinvolto di più?

Dipende dai momenti. In Mare Fuori i personaggi hanno un arco narrativo in continua evoluzione, ma conservano lo stesso carattere e gli stessi fatal flaw: ciò ci consente di reiterare delle dinamiche drammaturgiche nella scrittura e allo stesso tempo di spaziare nella narrazione per dare alla maggior parte di loro una possibilità di crescita. Sicuramente un personaggio che ci ha coinvolto particolarmente è quello di Pino ‘O Pazzo così imprevedibile, ma anche così sensibile, e forse perché abbiamo anche avuto modo di vedere e conoscere il ragazzo che lo ha ispirato. Ci colpiscono anche Viola o Cardiotrap. Citarne alcuni non è del tutto corretto: lavoriamo al progetto da sette anni e li sentiamo come se fossero tutti nostri figli.

Da autori, in base anche alle vostre esperienze passate, quali sono gli ingredienti per una buona idea?

Secondo noi alla base di una buona idea c’è sempre l’urgenza di comunicare qualcosa. A questa urgenza, a questa necessità, si uniscono un sentimento di vicinanza a ciò che si vuole raccontare e un’attività importante di studi e ricerche affinché si possa trasmettere l’autenticità della storia. Ovviamente la riuscita di un prodotto dipende da tante variabili, questo è il nostro approccio in fase creativa.

Come definireste il vostro ruolo autorale nell’industria dell’audiovisivo?

Genitoriale: lo sceneggiatore è colui che dà la vita. Spesso però quella vita è rinnegata – in un certo senso - dagli stessi figli, cioè registi e attori. Soprattutto in Italia, la centralità della scrittura e del processo creativo viene meno nel momento in cui l’autore consegna le sceneggiature, quando invece l’autore dovrebbe mantenere il controllo fino alla messa in onda, come avviene in altri Paesi. C’è da dire che in Italia esistono associazioni come Writers Guild Italia e 100Autori - o meglio: gli sceneggiatori aderenti a 100Autori – che si sono unite per mettere la scrittura sempre di più al centro dell’industria dell’audiovisivo. È un fattore culturale e di responsabilità di chi ha avuto un’idea: quando le scelte creative non sono più mediate dal suo autore, vengono meno i margini di miglioramento del prodotto e a cascata ne risente tutta la filiera produttiva. Proprio perché parliamo di centralità dell’autore, ci teniamo a specificare che nel grande lavoro di Mare Fuori si è aggiunto quello di altri sceneggiatori che hanno scritto alcune puntate: Luca Monesi, dalla prima alla quarta stagione, Peppe Fiore e Paolo Piccirillo, nella prima stagione, Angelo Petrella, nella terza e quarta stagione.

Il successo di Mare Fuori che effetto vi fa?

Grande responsabilità, con un pizzico di paura. Sicuramente grande gioia e grande spinta a continuare. La soddisfazione più grande che ci è arrivata da Mare Fuori non è professionale o personale, bensì sociale: l’idea di essere riusciti ad accendere un faro su una realtà come quella dell’IPM e di conseguenza sul disagio giovanile ci fa essere davvero orgogliosi. Speriamo che l’attenzione mediatica su Mare Fuori si trasformi poi in un intervento concreto per le realtà che abbiamo raccontato.

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