12 settembre 2023

Venezia 80, Paolo Jannacci racconta suo padre in musica e ci porta in un luogo di ricordi

Intervista a Paolo Jannacci sul docufilm "Enzo Jannacci, vengo anche io"
Foto di Simone Galbiati

Foto di Simone Galbiati

Ci sono momenti che custodiamo bene nel cuore perché succedono nel posto esatto in cui devono accadere. Paolo Jannacci, quando ripensa al rapporto con suo padre, ci racconta con molta emozione di un luogo preciso: un autolavaggio. In quello che per molti è uno spazio senza anima, si concretizzava perfetta e puntuale l’essenza del legame tra padre e figlio. E proprio all’autolavaggio nascevano confronti sulle reciproche quotidianità e ne traevano le conclusioni, a volte con ironia, a volte con serietà, ma sempre con stima e orgoglio reciproci.
 

Nel docufilm Enzo Jannacci, vengo anch’io c’è tanto del modo con cui uno degli autori più prolifici e interessanti del nostro panorama culturale leggeva e interpretava la vita coi suoi pensieri, con le sue parole, con la sua musica. I retroscena legati alle vicende di un grande protagonista del teatro canzone portano la firma di Giorgio Verdelli per la regia e dello stesso Paolo Jannacci per la colonna sonora: in anteprima a Venezia, nella sezione Fuori Concorso, proseguiranno poi il viaggio in tutte le sale cinematografiche italiane. 
 

Abbiamo raggiunto al telefono Paolo Jannacci, ci ha parlato di empatia nella composizione, di umiltà nel lavoro e di quanto servano leggerezza e divertimento nelle giornate in cui pensiamo di non farcela.

Iniziamo dal docufilm Enzo Jannacci, vengo anch’io di Giorgio Verdelli per il quale lei firma la colonna sonora: ci racconta come è nato il progetto?

Con il docufilm siamo davanti a una narrazione molto ampia e a un progetto che ha richiesto un gradissimo lavoro da parte del regista Giorgio Verdelli. Tutto è partito da un’intervista originale e inedita a mio padre, dalla quale è stata raccontata poi una storia più articolata. Sul versante musicale, la narrazione è sostenuta da alcuni miei brani strumentali già editi, accompagnati da altri di mio papà, come Lettera da Lontano, rieseguiti per l’occasione con alcuni accorgimenti per renderli più affini possibili con il montaggio delle scene.

Musica e cinema: un connubio magico. Da autore, come avviene il processo creativo quando si compone per le immagini?

Per quanto mi riguarda è importantissimo tenere presente il punto di vista del regista. Penso che sia inutile voler imporre la propria idea a tutti i costi quando il progetto è in realtà di un’altra persona: il compositore è una parte di un meccanismo davvero molto più complesso. Penso che, come prima cosa, sia fondamentale intuire la musicalità dell’idea creativa del regista, cioè come suonerebbe il film o la serie per il regista stesso. Personalmente preferisco lavorare per temi: che siano quelli legati alla psicologia dei personaggi, oppure allo spirito del film, perché penso che così ne benefici tutta l’architettura della pellicola e si entri di più nella storia. Anche se oggi la tendenza è quella di concentrarsi maggiormente sul sottofondo musicale, cioè sul contesto narrativo, è a mio avviso importante creare sempre e comunque un’empatia tra composizioni e aspettative musicali del regista.

Per quanto riguarda questa produzione lei ha raccontato suo padre in musica.  Come è stato? Ha sentito delle responsabilità in più?

La responsabilità c’è e dovrebbe esserci sempre in ogni lavoro.  In questo caso è stato un racconto naturale, perché il rapporto con mio padre è sempre stato un rapporto molto sincero e fiero. Eravamo entrambi reciprocamente orgogliosi delle nostre imprese.

Il docufilm è una bellissima occasione per raccontare il genio creativo di suo padre. Ci racconta un aneddoto che porta nel cuore?

Più che un aneddoto, porto nel cuore il modo di vivere con mio padre e come ci concentravamo sulle nostre vite. Spesso questi confronti accadevano in un autolavaggio: mentre lavavamo le nostre auto, parlavamo e tiravamo le somme in maniera ironica – a volte surreale - o seria su quello che ci capitava. Questa è davvero una cosa che mi manca Forse potrei pensare a un libro: i racconti dell’autolavaggio, per condividere con tutti i ricordi legati a quel luogo.

Che è eredità ci ha lasciato Enzo Jannacci?

Ci sono più eredità. Tra tutte però spicca la curiosità di entrare in altri luoghi, cioè in altre situazioni musicali. Curiosità ed energia: alle quali aggiungo un po’ di sano divertimento, di sana simpatia e di sana voglia vivere soprattutto quando nelle nostre giornate sentiamo di non farcela.

Cosa vuol dire per lei lavorare nella musica?

È un modo di essere. È una risposta per la quale uso poche parole: la musica è il completamento del mio pensiero, è parte fondante della mia vita.

Che consiglio darebbe ai giovani che si avvicinano al mondo della musica?

Avere sempre umiltà. A costo di pensare, quasi di vergognarsi, di fare la figura di una persona con poco carattere. Mi viene in mente Massimo Ranieri e a come si pone nei confronti di un palcoscenico o di un’intervista: nonostante sia un artista completo, ogni volta sembra che per lui sia la prima volta. Questo approccio deve far riflettere, perché è il motore per una crescita professionale concreta sul lungo termine. È necessario trovare un equilibrio tra i numeri – anche grandi – che si possono raggiungere nel lavoro e l’autenticità di quando viviamo fuori dai riflettori.

Chiudiamo con una domanda sul cinema: il suo film preferito?

Ma è una domanda difficilissima! Ne dico tre: 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrik, Thirteen Days di Roger Donaldson, e Birdman di Alejandro González Iñárritu.

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