31 agosto 2023

Intervista a Mario Mariani, al pianoforte per la semplice complessità delle cose

Mario Mariani firma la colonna sonora de "L’invenzione della neve", in arrivo domani alle Notti Veneziane.
Mario Mariani foto di Gloria Mancini

Mario Mariani foto di Gloria Mancini

Il pianoforte di Mario Mariani è un’orchestra dalle sorprendenti alchimie che restituisce a chi lo ascolta tutte le anime del musicista: compositore, interprete e performer. 
È proprio con il suo pianoforte e con il suo eclettismo sonoro, tipico di chi mette in luce la semplice complessità delle cose, che Mario Mariani disegna la colonna sonora de L’Invenzione della Neve, l’ultimo film di Vittorio Moroni in arrivo alle Notti Veneziane, la finestra sul cinema italiano d’autore organizzata da Giornate degli Autori e Isola Edipo. 
Ci chiediamo cosa ascolteremo. Ma siamo fuori strada con il quesito. Perché dalle sue parole capiamo che la domanda corretta è: “dove saremo?”
Le note ci porteranno infatti davanti a un carillon musicale azionato da tinte cupe, davanti a un passepartout autorale della sequenza narrativa della pellicola che apre a una serie di andate e ritorni in un luogo a metà tra la realtà e il sogno, lì dove vive la storia di Carmen.
In occasione della proiezione al Lido della pellicola, che conferma il sodalizio artistico Mariani – Moroni, abbiamo parlato con il pianista pesarese di musica, di cinema, di musica e di cinema insieme, dal primo incontro con la sua tastierina Bontempi, alla sua utopia del suono, alle 50 volte (e più) di “Arancia Meccanica”.

Alle Notti Veneziane arriva il film L’invenzione della neve di Vittorio Moroni, per il quale lei firma la colonna sonora: ci racconta come è nata?

Questa colonna sonora è stata composta contemporaneamente ad un altro film di Vittorio e Cécile Khindria, cioè il docufilm “N'en parlons plus”, sulla tragedia degli Harkis algerini e quindi ho dovuto come sdoppiarmi. L'idea da subito è stato un tema reiterato, una sorta di carillon dark, che si trasforma in una serie di andate e ritorni con il procedere della narrazione filmica.

Con L’invenzione della neve siamo davanti a una storia drammatica, ma anche una storia d’amore e di redenzione. Senza spoilerare troppo, si è affezionato a un personaggio in particolare mentre metteva in musica la narrazione?

Beh, naturalmente a Carmen che è il personaggio cardine del film. Tutto ruota attorno a lei e alle sue proiezioni, ottimamente rese dall'altro piano del film, quello metafisico/onirico espresso dalle animazioni di Gianluigi Toccafondo.

Tra compositore e regista che tipo di collaborazione, di sintonia, si crea (o dovrebbe crearsi) durante la realizzazione del film?

Ho sempre sostenuto che il rapporto tra regista e compositore delle musiche sia come un matrimonio, che dura solitamente molto di più rispetto a quelli canonici. Proprio a questo concetto ho dedicato il mio terzo album di pianoforte, “The Soundtrack Variations”, pensato come una serie di monografie sonore dedicate a Federico Fellini/Nino Rota, Alfred Hitchcock/Bernard Herrmann, Tim Burton/Danny Elfman, e ovviamente Vittorio Moroni e Mario Mariani, visto che ho scritto le musiche per tutti i suoi film, compresi i documentari e la serie TV “Denise”. 
Per tornare alla relazione tra le due figure, il compositore deve trarre e in qualche maniera canalizzare la musica che il film richiede. In questo è stato fondamentale il lavoro pluridecennale da me fatto sui film muti, in cui non ero solo il musicista, ma avevo la grande responsabilità, proprio attraverso la musica e il sound design di creare delle strutture che dialogassero e contrappuntassero quanto accadeva sullo schermo.

Lei come si è avvicinato alla musica? E cosa vuol dire per lei lavorare nella (e con la) musica?

Ho iniziato molto giovane. Verso i sei anni suonando una tastierina Bontempi con cui rifacevo all'impronta le musiche che ascoltavo in televisione. La musica per me è sempre stata tanto un mestiere quanto una passione, che ha attratto persone e discipline affini al mondo musicale. Nei concerti di pianoforte rifluisce tutto il mio mondo sonoro anche cinematografico, come già detto suonando molto spesso su film muti, e nelle colonne sonore è sempre presente nella fase di composizione l'improvvisazione, intesa come scintilla creativa.

Che consiglio darebbe ai giovani che si avvicinano oggi al mondo della composizione?

Di essere curiosi, naturalmente, di studiare la storia della musica, del cinema e di tutte le arti in genere. Ascoltare e vedere il più possibile e soprattutto capire cosa è in sintonia col proprio codice dell'anima. E naturalmente avere il solito pizzico di fortuna.

Se ripensa al primo film per il quale ha scritto la colonna sonora che sensazioni le arrivano?

Come dimenticarlo: era il primo film di Vittorio Moroni, “Tu devi essere il lupo” (2004), realizzato con un'orchestra di 35 elementi, la AMIT. Se ricordo bene, oltre a me, a Vittorio, al montatore, al direttore della fotografia eravamo tutti al primo lungometraggio. Un debutto corale. Ci ho lavorato sopra per 3 mesi a tempo pieno, nell'ufficio romano della Metafilm. C'era grande emozione, affiatamento e totale dedizione da parte di ognuno di noi.

Abbiamo letto di una sua “utopia del suono”, ci spiega meglio di cosa si tratta?

“Utopiano” è il nome del mio primo album di pianoforte solo, uscito nel 2010. 
Come l'utopia intende un non luogo, la sua controparte sonora indica per me - idealmente - un non suono che riguardo al pianoforte significa andare oltre le possibilità canoniche che questo meraviglioso strumento offre, utilizzando nel mio caso tecniche estese (molte delle quali di mia invenzione) direttamente sul corpo sonoro, con oggetti di uso comune come biglie, catene, frullini, e così via, creando una inusuale orchestra sonora.

Al cinema che tipo di spettatore è? Dove va la sua attenzione?

Adoro il cinema e naturalmente oltre alla colonna sonora la mia attenzione va a tutti gli aspetti fondamentali del film. La complessità non mi spaventa, anzi la ricerco si può dire in ogni cosa, nel senso di ramificazione di una semplicità che diventa come un caleidoscopio o come nella famosa immagine del raggio di luce che nel prisma si rifrange nei colori dello spettro visibile.

Per chiudere: qual è il suo film preferito? Perché?

Questa è la domanda più difficile a cui credo nessuno sappia rispondere...
Sono così tanti i registi che mi hanno influenzato: Kubrick, Tarkovskij, Fellini, Herzog, Kaurismäki, von Trier e molti altri.
Posso dire che il film che in assoluto ho visto più volte è “Arancia Meccanica” di Stanley Kubrick, credo oltre le 50 volte. Lo considero un capolavoro di coerenza, di sintesi in cui tutto è visto attraverso una lisergica lente deformante e Kubrick aveva il potere di far lavorare per lui i compositori già passati da tempo a miglior vita, come Gioachino Rossini con la sua “Gazza ladra” e il “Guglielmo Tell”, meravigliosamente inseriti e trasformati (tra l'altro entrambi presenti nel mio album “The Rossini Variations”), oppure il valzer di Dmitrij Šostakovič che prima di “Eyes Wide Shut” credo ben pochi conoscessero..

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