Marco Biscarini
In corsa per il Leone d’Oro all’80esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia c’è Lubo, pellicola diretta da Giorgio Diritti, per la quale Marco Biscarini firma la colonna sonora.
Come il romanzo da cui prende forma, Il seminatore di Marco Cavatore, il film è una storia di denuncia di quanto avvenuto – e continua ad avvenire – in nome della legge ma a discapito dell’essere umano, dove le scelte del protagonista diventano importanti punti di svolta dell’intera narrazione.
Questioni di scelte anche stilistiche: per trasporre in musica le vicende di Lubo, Marco Biscarini decide per quello che lui stesso definisce un linguaggio dell’oggi dal respiro internazionale, scritto con la creatività di chi pone alle base del proprio lavoro la costante ricerca e sperimentazione di nuove idee.
Lubo conferma il sodalizio artistico tra Giorgio Diritti e Marco Biscarini iniziato quasi dieci anni fa con Il vento fa il suo giro (2005) e che continua così verso il riconoscimento italiano più importante per la settima arte.
Alla base della colonna sonora c’è sicuramente una grande ricerca di un linguaggio musicale preciso, in continua evoluzione rispetto alle mie composizioni precedenti. Le musiche di questo film sono nate leggendo la sceneggiatura, soprattutto per quanto riguarda quelle diegetiche: il protagonista è anche un jazzista e servivano musiche caratterizzanti la scena. E poi ci sono quelle che accompagnano tutta la narrazione più introspettiva, con le quali sono entrato nella psicologia di Lubo.
Quando ho dovuto comporre le scelte di Lubo.
La storia raccontata col libro e col film è una vicenda travagliata, che si snoda nell’arco di tre decenni, in cui il protagonista si trova puntualmente davanti a un bivio: ogni decisione presa ha delle conseguenze significative per il susseguirsi degli eventi e degli stati d’animo del protagonista. Quelli sono stati dei momenti davvero emozionanti!
Secondo me dovrebbero esserci libertà creativa e fiducia reciproche, sulle quali poi costruire un solido rapporto di complicità. È la complicità artistica che illumina la potenza espressiva di un film.
Ho fatto studi di conservatorio e poi ho proseguito con l’università. Nei primi anni ’90, ho avuto la fortuna di apprendere da Ennio Morricone all’Accademia Chigiana. Se ho scelto di comporre musica per il cinema lo devo agli insegnamenti del Maestro: grazie alle sue parole ho trovato la mia dimensione artistica.
Un momento di vera consapevolezza non c’è mai stato: anzi, le mie scelte sono sempre accompagnate da dubbi atroci sull’essere o meno sulla strada giusta. Ma poi sono proprio questi momenti che diventano stimoli creativi.
È la vita. Va detto che l’atto creativo è un atto di sofferenza: visto da fuori appare come il frutto di un bellissimo mestiere, ma c’è anche un grande prezzo da pagare. Fa parte del senso di un percorso: è necessario mettere in conto dei momenti difficili, spesso dettati da un’incomprensione con la tua arte.
Ho molta fiduciosa nelle future generazioni autoriali. In loro vedo una grande creatività e una importante capacità di sintesi. Alla base del talento deve esserci però lo studio e la conoscenza approfondita e strutturata delle materie sulle quali poi poter costruire una carriera a lungo termine.
Interstellar di Christopher Nolan, sono affascinato dalla grandezza artistica di questa opera cinematografica.
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