28 dicembre 2023

Kristian Sensini: «Il cinema è un’esperienza collettiva, è così che l’arte moltiplica le emozioni»

Intervista al compositore della colonna sonora di "My love affair with marriage", il film di Baumane in corsa agli Oscar
Kristian Sensini - foto di Agnese Flagiello

Kristian Sensini - foto di Agnese Flagiello

Kristian Sensini si racconta seduto al suo pianoforte. Lo raggiungiamo al telefono, ma è come se fossimo nel suo studio: proprio lì, dove ha composto la sonora di My love affair with marriage, pellicola scritta e diretta da Signe Baumane, in corsa nella categoria Miglior Film di Animazione alla notte più attesa di Losa. Siamo davanti a un lavoro lungo sette anni: un tempo morbido – come lo definisce – fuori dalla frenesia del mondo per amalgamare musiche e immagini e restituire allo spettatore il giusto equilibrio emotivo della narrazione. 

Flautista, pianista, compositore, docente e membro del direttivo dell’ACMF (Associazione Compositori di Musica per Film), Kristian Sensini è l’unico italiano nella rosa di autori per l’Animation Movie e con My love affair with marriage ha già fatto incetta di premi internazionali: ricordiamo infatti le vittorie all’Annecy Inernational Animation Film Festival (2022), al Grand Prix Animafest e al Best Feature Anifilm (2023). 

In questa intervista, Kristian Sensini ci accoglie nel suo universo artistico tra generose sinergie creative e sale cinematografiche, portandoci dentro un’esperienza gomito a gomito con le emozioni dell’arte.

Partiamo dall’inizio. Come è nata la colonna sonora di My love affair with marriage?

Alla base della colonna sonora c’è tanta fiducia reciproca tra me e Signe Baumanenata col precedente lavoro, Rocks in my pockets. Per arrivare al prodotto finito, per quanto riguarda My love affair with marriage, ci sono voluti sette anni: un tempo che abbiamo vissuto – professionalmente parlando – a distanza, lei a New York e io nelle Marche. Ci siamo incontrati di persona solo un anno fa in occasione della prima europea della pellicola all’Annecy Inernational Animation Film Festival, in Francia. La fiducia in questo caso è stata davvero il nostro ingrediente segreto e non poteva essere altrimenti con un oceano in mezzo. Ma dovrebbe essere così per ogni sinergia autorale: penso che le fondamenta del successo di un’opera debbano essere costruite con la fiducia, che vuol dire collaborazione, partecipazione, generosità artistica.

Dopo sette anni di lavoro, quando ha visto il film per la prima volta cosa ha provato?

Avendoci lavorato per sette anni, l’ho visto veramente crescere. Lo conoscevo a memoria. Però quando l’ho visto in occasione della sua prima europea mi sono davvero emozionato. E l’emozione più grande è stata quella di vederlo con altre persone, perché il cinema è un’esperienza che si vive insieme, tra spettatori al buio, vicini, gomito a gomito. La potenza del cinema sta proprio nella fruizione collettiva di un’opera: la sala può cambiare la percezione, l’aspetto sentimentale, della storia e delle immagini che l’opera vuole raccontare. È così che l’arte moltiplica le emozioni. 

Quando scrive una colonna sonora che percorso fanno le sue idee? 

All’inizio c’è un grande panico e ci si pente di aver accettato il lavoro. Non si sa mai come fare, cosa fare, perché la musica può completamente cambiare il significato dell’opera. La paura è connaturata a ogni pagina bianca di un autore: nel caso di un film, però, c’è anche la necessità (e la responsabilità) di soddisfare le aspettative di tutte le persone che hanno lavorato alla pellicola. Di solito, scrivo la musica seguendo l’ordine cronologico delle scene, come se fossi uno spettatore. Se ho la possibilità di lavorare con il regista fin dall’inizio preferisco partire dalla sceneggiatura cercando delle idee di suono da dare al film, delle idee di orchestrazione. In fase di montaggio affino le idee col colore e col ritmo delle immagini: è importante per me restituire a chi guarda l’equilibrio narrativo ed emotivo della storia.

Questo discorso vale anche per i film di animazione?

Sì, perché l’animazione non è un genere ma un medium. L’animazione è un mezzo di espressione del regista, che gli consente un’astrazione del racconto molto più ampia. Ad esempio, My Love Affair With Marriage è un film di animazione per adulti: molte scene della storia sono ambientate nella mente umana, in cui la protagonista è la biologia. Ecco, con un medium diverso dall’animazione probabilmente il film non avrebbe avuto la giusta forza espressiva per il tema che tratta o, peggio, sarebbe caduto in scelte narrative banali o grottesche.   

Lei come si è avvicinato alla musica? 

Per osmosi. Iniziai a studiare pianoforte per volere di mio padre e non fu per niente facile. Anzi, lasciai le lezioni dopo qualche settimana perché tolleravo poco la disciplina che lo studio del pianoforte richiedeva. Però, proprio grazie al pianoforte rimasi affascinato dalla possibilità di scrivere prima e di suonare poi la musica che componevo, che immaginavo. Da quel momento è stato un continuo sperimentare: sono stato autodidatta fino ai vent’anni, quando mi sono iscritto al Conservatorio per studiare flauto e diplomarmi in composizione jazz.

C’è un regista con il quale le piacerebbe lavorare?

In prima battuta, direi Steven Spielberg perché gli devo moltissimo del mio immaginario. Ma Steven Spielberg ha già John Williams. Mi piacerebbe moltissimo lavorare con Yorgos Lanthimos, il suo ultimo film è Poor Things: lui è un regista davvero visionario. 

All’orizzonte per My Love Affair With Marriage c’è la notte degli Oscar…

È uno dei trentatré film di animazione in corsa agli Oscar: è l’unico del settore scritto e diretto da una donna e io sono l’unico compositore italiano. Come Miglior Colonna Sonora e Migliore Canzone Originale siamo fuori dalle nomination, ma il solo fatto di essere stato incluso in una rosa di autori eccezionali mi ha dato moltissima soddisfazione. Ora non rimane che aspettare gennaio e incrociare le dita per la shortlist relativa per il Miglior Film di Animazione.

Dal suo punto di vista, che rapporto c’è tra la musica italiana e l’estero?

Siamo legati da un duplice rapporto. Da un lato, il compositore italiano è tenuto molto in considerazione all’estero per quello che l’Italia evoca nella cultura internazionale: si pensi all’opera lirica dichiarata Patrimonio dell’Unesco qualche settimana fa. Dall’altro lato, incontriamo molte difficoltà a inserirci nel mercato mondiale. Penso che la musica italiana per film debba essere più incoraggiata, più sostenuta, al pari di quanto avviene per la musica pop. Abbiamo bisogno di più possibilità per farci conoscere e per evitare così di rimanere in una nicchia poco esportabile.

La mancanza di possibilità, allo stato attuale, da cosa dipende?

Credo sia dovuta principalmente al fatto che il nostro cinema è molto referenziale, pensato per un consumo all’interno dei confini nazionali. Ovviamente c’è poi un discorso di tipo economico, che fa perno sugli investimenti produttivi e pubblicitari della filiera cinematografica, i quali spesso sono a discapito dei film indipendenti e di conseguenza dei relativi autori. Se pensiamo a Barbie, siamo tutti d’accordo nel riconoscere che la promozione della pellicola è stata gigante: anche chi non ha visto il film, ha saputo della sua esistenza. Questa considerazione sposta i parametri di selezione e di giudizio in un’ottica mondiale squisitamente industry e di marketing del cinema, rischiando di lasciare a casa opere altrettanto valide ma poco note. Nella storia dell’Academy ci sono state tempeste perfette per l’Italia, tipo Nicola Piovani e La vita è bella, ma parliamo di compositori italiani per film italiani che concorrono come Miglior Film Straniero: ecco, sarebbe bello poter far conoscere il nostro talento tramite investimenti e promozione, incentivando le occasioni di commistione con produzioni americane o internazionali. 

In chiusura, lei che consiglio darebbe ai giovani che vogliono vivere di musica?

È fondamentale costruirsi una credibilità come compositore: consiglio di essere molto caparbi e insistenti negli obiettivi artistici e professionali e di avere una propria linea stilistica una propria personalità autorale.

 

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