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Parola è il titolo del quarto disco di Giovanni Caccamo: siamo nel 2021, e questa è la sua risposta artistica all’appello di Andrea Camilleri, che aveva invitato i giovani a porre le fondamenta per un nuovo Umanesimo in grado di ricentrare sulla parola la società che verrà.
Dall’album del cantautore di Modica nasce Parola ai giovani, un concorso di idee per under 35, in collaborazione con i Musei Vaticani e il MAXXI - Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo, promosso da Banca Ifis, Pulsee Luce e Gas e Alessia Zanelli. Da Parola ai giovani fioriscono poi il Manifesto del Cambiamento, libro che lui stesso definisce come un volume di orientamento emotivo e un documentario, per la regia di Angelo Bozzolini, che oggi arriva in anteprima alle Giornate degli Autori del Festival del Cinema di Venezia, in collaborazione con Sky Arte.
Giovanni Caccamo ci ha raccontato il lavoro dietro al progetto, delle generazioni che si sono confrontate e della necessità di un’educazione sentimentale alla parola.
Tutto parte da un appello di Andrea Camilleri, che chiedeva ai giovani di far partire un nuovo Umanesimo rimettendo la parola al centro delle nostre vite. Io ho risposto all’appello con il mio quarto album, Parola, in cui ogni canzone è ispirata o collegata a un testo di letteratura italiana o straniera. Accanto a me straordinari compagni di viaggio: alcuni sono stati interpreti dei loro testi, come nel caso di Liliana Segre e di Patti Smith, mentre altri sono stati portavoce, tipo Willem Dafoe per Franco Battiato, Michele Placido per Gesualdo Bufalino e Beppe Fiorello per Pier Paolo Pasolini.
Pubblicato il disco, però, sentivo che la mia risposta non fosse sufficiente a far partire un nuovo Umanesimo, ma servisse la risposta di migliaia di giovani. È nato così Parola ai giovani, un concorso di idee rivolto agli under 35, in cui ciascuno è stato chiamato a rispondere alla domanda: “Cosa cambieresti della società in cui vivi e in che modo? Qual è la tua parola di cambiamento?”.
Dagli scritti e visioni di futuro ricevuti è emerso un quadro preoccupante: una generazione schiacciata da un velo di impossibilità e di negatività, dovuto sicuramente alla pandemia, alla crisi, alla guerra e, paradossalmente, anche al benessere, che si è trasformato in una sorta di inibitore di sogni e prospettive, facendo così uscire dal vocabolario emotivo i concetti di sacrificio e fallimento, togliendo ai ragazzi il coraggio di inseguire i loro sogni.
Prima del documentario, da Parola ai giovani è nato il Manifesto del Cambiamento, un volume che racchiude sessanta delle migliaia di testi ricevuti, edito da Treccani con la prefazione di Papa Francesco. All’interno, dodici opere d’arte realizzate da maestri contemporanei – Arnaldo Pomodoro, Emilio Isgrò, Fabrizio Plessi, Ferdinando Scianna, Francesca Cataldi, Giulia Napoleone, Guido Strazza, Mario Ceroli, Maurizio Cattelan, Michelangelo Pistoletto, Mimmo Jodice, Mimmo Paladino - sulla base di dodici testi e parole di cambiamento scritti dai ragazzi, a dimostrazione del fatto che non esista futuro senza radici e che i giovani, per edificare un futuro in evoluzione, debbano relazionarsi con i Maestri.
Durante la realizzazione del Manifesto del cambiamento, sentivo l’esigenza di testimoniare il più possibile i preziosi scambi verbali avuti con gli artisti e con i ragazzi, così, con Angelo Bozzolini, è nata l’idea di realizzare un documentario che raccontasse questo viaggio. Il documentario raccoglie per il grande schermo dialoghi sul futuro e momenti di confronto tra maestri e giovani talenti del nostro panorama culturale.
Sono tutti giovani con una grande voglia di vivere e che hanno attivo un pulsante fondamentale: la curiosità. Molti di loro hanno avuto precocemente contatti con la sofferenza, con il dolore, e per questo hanno sviluppato una sensibilità diversa.
Ricordo una ragazza della Ca’ Foscari di Venezia che aveva indicato come sua parola di cambiamento la parola “regole”. Ha raccontato che da adolescente era l'unica del suo gruppo a non avere un orario per rientrare in casa: ovviamente in un primo momento si sentiva privilegiata, ma quando tutti andavano via veniva pervasa da un senso di solitudine enorme. Si chiedeva: “perché i miei genitori non mi danno un orario per rientrare?”, “Forse preferiscono che io resti fuori?”, “Mi vogliono meno bene?”
Questo è un esempio quasi banale, ma disarmante, di come le regole siano implicite e necessarie per sentirsi parte della collettività. Per gli adulti, spesso, l’assenza di regole può apparire come una concessione di libertà, ma durante lo sviluppo personale dei ragazzi sono fondamentali, perché attraverso le regole capiamo il sacrificio, impariamo a capire meglio chi siamo e a definire la nostra identità.
La mia parola di cambiamento è gratitudine.
Immaginiamo la nostra vita come la plancia di una navicella spaziale. In questa plancia ci sono 100 pulsanti di cui, ogni giorno, circa 95 verdi e 5 rossi. I pulsanti rossi rappresentano i problemi, più o meno gravi, della nostra quotidianità: i conflitti, la perdita di una persona cara, un litigio, un problema lavorativo, un fallimento, una malattia, la bramosia di successo o di possesso. Ogni mattina ci svegliamo e concentriamo la nostra attenzione su quei pulsanti rossi che diventano così la causa della nostra latente infelicità. La pandemia e la guerra hanno spento uno dei pulsanti verdi a cui non avevamo mai dato la giusta importanza, la libertà, e ci siamo trovati improvvisamente chiusi in casa a desiderare ciò che prima era del tutto scontato: fare una passeggiata, andare a cena con gli amici, abbracciare una persona cara. In quel momento mi sono chiesto: “Perché non ho mai dato il giusto valore a queste azioni così semplici ma così importanti per me? Perché non ho dato valore al pulsante della libertà prima d’ora?”.
Siamo quotidianamente di fronte a un bivio: continuare a concentrarci sui pulsanti rossi lamentandoci per ciò che non abbiamo o cambiare prospettiva e iniziare ad avere gratitudine per quelli verdi. Imparare a esercitare quotidianamente la “gratitudine” ci aiuta a sentirci amati e ad amare. E come farlo? Con due esercizi molto semplici: uno al mattino e uno la sera, come l’antibiotico.
Primo esercizio: quando ci svegliamo al mattino e dopo pochi minuti siamo già arrabbiati, dobbiamo fermarci e chiederci: “A quali pulsanti sto concedendo la possibilità di rendermi infelice?”. Una volta identificati i pulsanti rossi e dato loro un nome, mettiamoli da parte e concentriamoci sui verdi: ho perso papà quando ero piccolo ma mia madre è ancora viva, è un pulsante verse, ho una casa, sono in salute, il sole è sorto.
Adesso, uno dopo l’altro, spegniamo questi pulsanti, connettendoci emotivamente con quello stato d’animo. Spengo mia madre e ne vivo la perdita, il lutto. Spengo la mia casa, spengo il sole. Ci ritroveremo dopo poco in uno stato emotivo di collera e disperazione. Dopo qualche minuto quando potremo schiacciare il pulsante “reset” che farà tornare la plancia alla condizione di partenza, ci accorgeremo che nonostante i pulsanti rossi ci attende una giornata ricca di doni e possibilità, sta a noi decidere da che punto di vista affrontarla e tornare a sorridere.
Secondo esercizio: la sera, prima di addormentarci, spegniamo la luce, chiudiamo gli occhi e ripercorriamo la nostra giornata. Sforziamoci di trovare almeno 10 attimi che hanno reso la nostra giornata più felice e per cui dire “grazie”: un gesto gentile, uno sguardo, il gelato nella nostra gelateria preferita, la passeggiata con un’amico, la carezza della nonna, un tramonto emozionante. Lasciamo sul tavolo queste 10 immagini. Il regista dei sogni le utilizzerà per disegnare sogni di luce.
Troppo poco. Stiamo perdendo gran parte della ricchezza del nostro vocabolario. Mariangela De Luca è una giovane linguista che fa parte di questo viaggio e che difende le parole desuete della lingua italiana. Il suo testo si intitola Elettezza ed è stato trasformato in opera d'arte da Emilio Isgrò. È veramente commovente, come lei parli con amore di tutte le parole desuete della lingua italiana, le spogli e ne spieghi la radice, il significato. La povertà lessicale impoverisce la nostra capacità di raccontare le emozioni, di avere contatto con noi stessi e poterci esprimere, incentivando la violenza fisica e verbale; la rabbia e la solitudine. La parola è lo strumento di accesso alla percezione che abbiamo di noi stessi e degli altri. “Le parole possono trasformarsi in pietre o pallottole”, come diceva Andrea Camilleri, ma anche l’assenza di parola può ferire. Prendiamo ad esempio il ghosting, parola trasformata in opera da Maurizio Cattelan su un testo di Carlo Corallo: quante volte scriviamo a persone che reputiamo importanti e non riceviamo risposta? Questo ci fa soffrire. Sono fortemente legato al concetto di libertà di espressione e di pensiero, purché ciascuno rispetti le emozioni, l’identità e i valori dell’altro.
Silenzio. È un concetto ricorrente, è sia un sostantivo, sia un’azione.
Chiedersi per cosa valga la pena vivere. Ognuno di noi ha un posto nel mondo, ognuno di noi ha un talento. Il cortocircuito sta nel fatto che oggi il concetto di “talento" è alterato: talento non è fare qualcosa di spettacolare, ma la propensione a fare ciò che ci fa stare bene. Come si scopre il proprio talento? Vivendo. Tuffandosi nelle vite degli altri, nella luce, nelle storie; mettendosi in discussione.
Se la musica è effettivamente il motore che muove le tue giornate, lo sarà a prescindere dai follower e dalla fama. Se la tua fiamma arde per la musica, ci saranno tanti modi possibili per poterla vivere: il corista, l’insegnante, l'autore, il musicista, il produttore, il musicologo; non sono deminutio del cantante, ma declinazioni preziose della stessa famiglia.
Ce ne sono tantissimi. il primo che mi viene in mente è Schindler’s List di Steven Spielberg. Perché anche nelle peggiori storie può esserci una via d’uscita. È l’umanità di luce che vince, o dovrebbe vincere sempre.