18 settembre 2023

Venezia 80. Cantautoma: «Nessuna perfezione della musica, così sostengo l’autenticità della narrazione»

Intervista al compositore della colonna di Expérience Zola, film di Gianluca Matarrese
Cantautoma foto di Gloria Di Bella

Cantautoma foto di Gloria Di Bella

Se volessimo raccontare il post di un’epoca con un film, il fil rouge delle emozioni sarebbe il rovesciamento intenzionale e sofisticato di quanto successo nel prequel: un’incessante ricerca di idee in grado di sparigliare una trama conosciuta con una vivace opposizione al capitolo precedente.

Ecco, parliamo di Expérience Zola. Dietro la macchina da presa Gianluca Matarrese adatta L’assommoir di Émile Zola all’era post-internet, con l’intreccio di numerosi livelli narrativi in cui realtà e finzione si mescolano vorticosamente, mentre Cantautoma, con la parte compositiva, ne offre un ribaltamento. E proprio quando i piani sequenza con cui guardiamo le nostre vite si confondono, il suono diventa vivo e prende con determinazione le distanze da un ambiente virtuale, sovvertendo un mondo patinato votato a una finta e perfetta quotidianità.

Cantautoma, che nel nome porta la franchigia de La mort de l'auteur di Roland Barthes, non è nuovo alle atmosfere della settima arte al Lido di Venezia: ci parla del suo lavoro, della commistione tra realtà e finzione, e di una riscoperta passione per la musica classica e l’opera lirica.

Ci racconta come è nata la colonna sonora di Expérience Zola?

Alla base della colonna sonora c’è sicuramente una collaborazione consolidata con Gianluca Matarrese. Il nostro è un meccanismo ben oliato, grazie al quale ho potuto seguire tutte le fasi della realizzazione del film, fin dalla sua scrittura. Le musiche seguono le atmosfere della pellicola: ho scelto delle linee molto vicine al post-rock, ispirandomi alla doppia anima dell’intera storia, realtà e finzione. Per Expérience Zola ho voluto trasmettere la verità di alcuni momenti lasciando la musica “sporca”: nessun aggiustamento in fase di missaggio o di mastering per sostenere con più forza l’autenticità della narrazione.

Che effetto le fa sentire le sue musiche al Lido?

È il terzo anno che mi trovo a (ri)ascoltare le mie musiche a Venezia. Inizio davvero a sentirmi a casa! È sempre una grande soddisfazione ascoltare come suona il film, in sala seduto tra le persone, cercando di capire anche come arriva agli spettatori. Certo, il rovescio della medaglia è che è una autovalutazione in diretta del tuo lavoro, e a volte vorresti modificare alcune parti… però vincono le sensazioni positive.

C’è stato un momento del film che è stato più difficile da musicare? Perché?

Il finale: dovevo scegliere se mettere la musica o lasciare il silenzio. È stato un momento difficile, perché c’erano tante idee sull’opzione sonora. Ci siamo confrontati tantissimo prima di arrivare a una soluzione.

Il progetto Cantautoma esplora le potenzialità creative tra esseri umani e tech: in quasi 10 anni di carriera che idea si è fatto al riguardo?

Nel rapporto tra esseri umani e tecnologia è sempre più forte la compresenza tra due mondi: quello del reale e quello del non-reale. Il centro della mia ricerca musicale è capire quale sia il punto di contatto tra di loro: i confini sono sempre più sfumati, e da un punto di vista artistico, ma anche sociale, mi interessa indagare come e dove si congiungono realtà e finzione, diventando così un aggregato difficilmente divisibile. L’arte è lo specchio dei tempi in cui viviamo, e si porta dentro i nostri pensieri e le nostre domande. Una su tutte: siamo davvero connessi in una società che misura la nostra quotidianità con le interazioni social?  Come sosteneva Marshall McLuhan, il sociologo che moltissimo tempo prima dell’avvento di internet aveva coniato l’espressione villaggio globale, i media - e di conseguenza anche i social media - non sono ambienti neutri, anzi sono essi stessi il messaggio: non possiamo prescindere da questa considerazione, proprio per il grande ruolo dell’ecosistema digitale nelle nostre giornate.

Quali sono i suoi riferimenti musicali?

Il mio amore di gioventù è il rock anni ’90, anche nelle sue sfaccettature più sconosciute. Poi ho conosciuto il jazz e l’elettronica, che sono stati per me un motivo di sperimentazione e di crescita artistica, anche se il background rimane chitarra, basso e batteria. Da grande ho invece riscoperto la musica classica e l’opera lirica, erano tutte suggestioni che avevo conosciuto grazie a mio padre e che ho di nuovo tirato fuori. Adesso le richiamo in alcuni miei ultimi brani.

Quanto c’è delle riflessioni di Cantautoma nella sua vita privata?

C’è quasi tutto: la musica per me è totalizzante, faccio fatica a distinguere i momenti di lavoro da quelli di svago. C’è poco invece di Davide Giorgio in Cantautoma. Ho sostituito la parola autore con automa: secondo me un’opera andrebbe apprezzata, valutata, al di là della biografia del suo autore, come sosteneva Roland Barthes ne La morte dell’autore, appunto.

Cosa rappresenta per lei lavorare nella musica?

È un sogno. Non avrei pensato mai di lavorare nella musica, e invece eccomi qui.

Chiudiamo con una domanda sul cinema. Qual è il suo film preferito?

Amo molti registi, David Lynch su tutti. Ma il mio film preferito è Me and you and everyone we know di Miranda July: è una favola moderna, poetica e struggente.

 

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