15 gennaio 2018

La Caporetto del cinema italiano? Tutto vero, ma è cambiato il modo di vedere i film, a ogni età

Un contributo di Michele Anselmi per SIAE
Il cinema in Italia, 2017

Il cinema in Italia, 2017

Spira un’aria da Caporetto sul cinema italiano. Gli incassi dei film tricolori sono precipitati del 46% in un solo anno, e certo sui risultati al botteghino del 2017 appena concluso ha inciso, in modo cruciale, l’assenza di Checco Zalone e di una commedia contagiosa come “Perfetti sconosciuti”. Tutti a interrogarsi sui rimedi, nel panico generale di produttori, registi, distributori ed esercenti. Magari il 2018, partito benino con “Come un gatto in tangenziale”, non sarà un disastro totale, in attesa che nel 2019 san Zalone, ormai equiparato a Gennaro sui social, ricompia il miracolo.

Però non di cifre vorrei parlarvi. Ma di due miei amici. L’uno, Mattia, ha 25 anni: è colto, brillante, curioso; l’altro, Angelo, 60: è benestante, legge romanzi, s’occupa di politica. Solo che entrambi non vanno al cinema, praticamente mai, o non più.

Potremmo dire che è colpa dei nostri film, spesso tristemente uguali a se stessi, specie certe commedie desunte da successi stranieri rifatte in salsa italica; eppure, nonostante l’inaridita vena creativa del cinema nazionale, anche sul versante più propriamente d’autore, quello che il Mibact ha voluto definire con bizzarro aggettivo “difficile”, sarebbe probabilmente un’ingiustizia. Se è vero, come ha scritto su “La Stampa” il direttore della Mostra di Venezia Alberta Barbera commentando i dati in rosso, che “una regola ben nota ai professionisti del settore dice che a trainare il mercato sono i prodotti nazionali: quando questi vanno male, è l’intero settore a risentirne”, è altrettanto vero che altrove, nel mondo, il pubblico continua ad andare a vedere i film in sala, da noi invece capita sempre meno (con l’eccezione di alcuni blockbuster hollywoodiani, cartoni animati e qualche outsider a sorpresa).

E qui ritorno a Mattia e Angelo. Il primo mi ha confessato di non varcare la soglia di un cinema, e ha due complessi multi-sala dietro casa, da quasi un anno, preferisce le serie tv di Netflix o in streaming, anche i film li vede più volentieri “piratati”, forse farà uno sforzo per “Benedetta follia” di Carlo Verdone, perché gli piace sin da quando era bambino e io gliene ho parlato bene. Il secondo non provo nemmeno a convincerlo. “Scarica” nottetempo tutto quanto è “scaricabile”, la sua casa, ormai, è una piccola centrale clandestina, paga il biglietto (ripeto, è un uomo molto benestante) solo per gustare sul grande schermo qualche filmone americano d’azione, possibilmente in 3D.

Capirete che, stando così le cose, poco conta lo sforzo che Verdone sta facendo da giorni, con tour forzati in tv, alla radio, in rete e nelle diverse piazze italiane, per reclamizzare la sua nuova commedia, peraltro tra le più divertenti degli ultimi anni. Lui stesso tradisce, nello sguardo, un sospetto di rassegnazione rispetto agli incassi possibili, anche se il manifesto “vintage”, rivolto al pubblico nostalgico e maturo, è frutto di un lungo lavoro di indagine, realizzato con ripetuti sondaggi. La verità? Per una commedia italiana la cifra di 10 milioni di euro ormai è un miraggio lontano, quando si arriva a 6-7 già si festeggia e si prepara un seguito.

Dunque? Temo davvero che, al pari della carta stampata, un modello classico di fruizione stia tramontando. Il cinema si consuma come prima, se non di più, ma in forme diverse, sempre meno collettive e pubbliche; il risultato economico della sala incide ancora molto, ma soltanto per certi e miratissimi film.

Alla fine c’è poco da fare. Quanti Mattia di 25 anni e quanti Angelo di 60 anni ci sono oggi in Italia? Tanti, infiniti, ciascuno di noi ne ha uno in famiglia. Intanto, qui in Italia, si continuano a fare circa 200 film all’anno, tre quarti dei quali restano congelati in un cassetto o escono per pochi giorni nella speranza di un possibile sfruttamento tv, peraltro improbabile.

Qualche giorno fa Francesco Rutelli, presidente dell’Anica, ha provato a sdrammatizzare, snocciolando i dati del crollo. Ha parlato di lotta alla pirateria, dell’estate da riconquistare (ancora?), della benemerita legge Franceschini da lui molto elogiata. Temo, invece, che i giochi siano fatti. Pur sapendo che se il nuovo film di Zalone nel 2019 incasserà 65 milioni di euro o giù di lì, come “Quo vado?”, tutti intoneranno il “Te Deum”.

Michele Anselmi

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